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The lean Book- Riccardo Pavanato
Come creare processi efficaci ed efficienti in ogni organizzazione
Avete mai provato ad affrontare un cambiamento lean in azienda?
Gli strumenti di lavoro sono tanti e spesso non si sa da dove iniziare….
Ci viene in Soccorso Riccardo Pavanato con il suo libro The Lean Book.
The Lean Book è un libro di Riccardo Pavanato che illustra in modo sintetico i principi e le tecniche del lean thinking fornendo un riassunto degli strumenti principali.
Il lean Thinking è un approccio per creare processi efficaci ed efficienti in ogni organizzazione.
Il libro si basa sull’esperienza dell’autore come consulente e formatore di Auxiell, una società che si occupa di lean transformation.
Il libro è diviso in sette capitoli:
Il libro offre anche numerosi esempi, casi pratici e riferimenti bibliografici per approfondire i temi trattati.
Nel suo libro The Lean Book, Riccardo Pavanato usa vari strumenti per illustrare e applicare il lean thinking, un approccio per creare processi efficaci ed efficienti in ogni organizzazione.
Alcuni di questi strumenti sono:
Come si passa dalla produzione di massa ai metodi lean?
Ci sono 5 step verso la produzione snella:
Questi passaggi si possono sviluppare attraverso un framework per distinto in tre livelli,
I principi sono sette:
Il secondo livello contiene le tecniche e i metodi che rappresentano l’applicazione dei principi a un contesto concreto ad es lo Smed, che vanno sempre accompagnate al principio di fondo per cui si usano.
Se non capisci i principi di fondo della lean le tecniche servono a poco;
è uno dei principali motivi per cui non si riesce ad applicare la lean.
Mi capita spesso di lavorare con imprenditori che vogliono la tecnica magica per risolvere i loro problemi, ma non sono disposti a metterci risorse, tempo , impegno e congruenza.
Il terzo livello è costituito dagli strumenti, ovvero le modalità operative a supporto dei metodi e delle tecniche.
Il Valore per il cliente
Comprendere che il valore è tutto ciò per cui il cliente sarebbe disposto a pagare ci permette di intraprendere un lean journey efficiente ed efficace.
Nell’azienda lean ideale il ritmo di lavoro non è eccessivamente veloce, ma molto costante e ad alta percentuale di valore aggiunto
Ogni processo è costituito da un diverso mix di quattro elementi:
Per ciascuno di questi bisogna chiedersi:
può aggiungere valore al processo e al suo output ?
Spesso ci si concentra troppo sul miglioramento delle attività che aggiungono valore, e troppo poco sulle attività che non ne aggiungono, ma nelle quali si annidano molti costi, allungamenti dei tempi e perdite di qualità
L’attesa non aggiunge valore. Al contrario, la velocità e la puntualità della consegna costituiscono sempre un valore per il cliente
L’ispezione non aggiunge valore.
L’obiettivo a cui si deve tendere è un processo che produca zero difetti, al punto di non necessitare di alcun controllo
Il trasporto non aggiunge valore, al contrario fa salire costi e tempi.
La lavorazione è il solo elemento di un processo che può aggiungere valore al prodotto, a patto che quella determinata lavorazione sia richiesta dal cliente.
Quindi bisogna lavorare a togliere tutto cio’ che non aggiunge valore
I tre flussi di ogni processo
Dopo aver spiegato cos’è il valore per il cliente, si passa al secondo principio, che aiuta a capire come funziona ogni attività, perché analizza l’insieme di operazioni che ci permettono di trasformare un input nell’output desiderato.
Queste operazioni si dividono nei tre flussi fondamentali, che si ritrovano in ogni processo:
Nella progettazione di un processo è corretto cominciare dal flusso operativo, l’unico che genera valore per il cliente.
In seconda battuta si progetta il flusso informativo, mentre il workflow viene definito per ultimo.
Ogni processo è determinato da quattro fattori più uno, definiti 4m + e:
Gli ostacoli allo scorrere del flusso
Questi ostacoli sono di tre tipi: le tre « mu ».
Il primo ostacolo è il muda.
La seconda « mu » è muri: indica il sovraccarico.
Infine la terza « mu » è quella di mura,che significa irregolarità.
Le cause principali del mura sono tre.
5S
Le 5s sono fondamentali per creare un ambiente adatto alla trasformazione di un processo, ma non sono sufficienti.
Jidoka
Il termine jidoka può essere tradotto come « autonomazione » – contrazione di autonomia e automazione –, ovvero « automazione con un tocco umano ».
Le precondizioni sono l’utilizzo di indicatori smart e strumenti di visual management per la fase di check, un empowerment diffuso che consente di delegare al giusto livello la responsabilità, la presenza di standard nei processi per evidenziare immediatamente la comparsa di un’anomalia, l’utilizzo di strumenti di problem solving per risolvere il problema.
Una metodologia del Jidoka è il Poka Yoke
Si distinguono due categorie di poka – yoke:
Una forma di visual management ( approfondimento al capitolo 6 ) spesso utilizzata a supporto del poka – yoke è l’andon
Value stream mapping
È composto di tre sezioni fondamentali:
Per realizzare un vsm si segue questo percorso:
Lean layout
Il layout di un impianto produttivo è lo studio della disposizione del complesso di macchine, apparecchiature e servizi atti a permettere la trasformazione di materie prime o derivati in prodotti finiti.
Il lean layout è invece una disposizione spaziale dei centri di creazione del valore – e dei relativi punti di approvvigionamento e di disaccoppiamento che sia funzionale alla generazione del valore per il cliente e per l’azienda attraverso l’implementazione di flussi privi di sprechi.
Si ottiene applicando un metodo strutturato che mira ad analizzare, progettare e definire la disposizione spaziale dei centri di creazione del valore, attraverso cinque passi fondamentali.
Nell’ambito del lean layout è necessario dimensionare e bilanciare i processi e le relative infrastrutture produttive (celle, linee, reparti,…), gestendo i bottleneck – colli di bottiglia – e allo stesso tempo evitando quando possibile il sottoutilizzo di risorse.
E’ necessario rispettare il takt time, cioè il ritmo al quale il mercato richiede prodotti finiti.
SMED
Lo smed, acronimo di Single Minute Exchange of Die è una tecnica che permette di ridurre il tempo di setup – o attrezzaggio, o changeover.
Si basa sulla distinzione tra attività di setup interno ( ied – Inside Exchange of Die ), ovvero che devono essere eseguite a impianto fermo – come la rimozione dello stampo in una pressa –, e attività di setup esterno ( oed – Outside Exchange of Die ), che possono essere svolte a impianto in funzione – per esempio la pulizia dello stampo rimosso.
Prevede sei fasi:
TPM
Total productive maintenance ( tpm ) –manutenzione produttiva totale – è un sistema di metodi e strumenti che mira al raggiungimento della massima efficienza degli impianti, focalizzando l’attenzione sulle attività degli operatori, della manutenzione e dei tecnici di processo.
TPM si può suddividere in quattro punti chiave:
Eliminare gli sprechi
Il terzo principio, è quello per cui è forse più famoso il lean, ovvero l’eliminazione degli sprechi, le attività che non aggiungono valore al prodotto e che, spesso, rallentano il lavoro invece di renderlo più semplice e veloce.
Gli sprechi sono sette piu’ uno…..
Sovrapproduzione
Con muda di sovrapproduzione si indica la produzione di più di ciò che serve alla fase successiva del processo, o prima dell’effettiva necessità.
Attesa
Il muda dell’attesa è l’inattività delle risorse in trasformazione o trasformanti ( per esempio i macchinari o le persone ), che può essere dovuta all’esaurimento dei materiali, a guasti alle attrezzature, a ritardi dovuti a lotti di cui si attende l’arrivo, fino alla mancanza di competenze che richiede del tempo per colmare la lacuna di un operatore.
Trasporti
Il trasporto è la movimentazione delle risorse prima, dopo e durante la loro trasformazione. Per esempio, in una fabbrica, il trasferimento di componenti da un magazzino alla linea di produzione, e in un ufficio lo spostamento di dati tramite supporti fisici come chiavette Usb e hard disk o tramite il web.
Processi non corretti
Un esempio di processo non corretto in produzione è l’esecuzione di controlli in
accettazione quando un fornitore garantisce già prodotti senza difetti.
Scorte
Le scorte sono accumuli di risorse da trasformare, in trasformazione o trasformate. Perché rappresentano un intralcio al miglioramento in azienda ? Perché nascondono i problemi, impedendoci di affrontarli e risolverli.
Il costo delle scorte su base annua è pari al loro valore ( sempre su base annua ) moltiplicato per una percentuale data dalla somma dei costi di immobilizzazione, gestione, spazio e obsolescenza / senescenza e viene stimato intorno al 12%
Movimenti
La presenza nel workflow di qualsiasi movimento non necessario o compiuto nel modo sbagliato rappresenta un muda. A differenza del muda dei trasporti, quello dei movimenti non si riferisce ai prodotti ma ai lavoratori e alle macchine.
Difetti
La generazione di output difettosi, cioè non aderenti alla richiesta del cliente o alle specifiche tecniche, è il settimo muda.
L’ottavo spreco
La teoria più diffusa propone che esso vada individuato nel mancato utilizzo delle risorse delle persone: la creatività, la conoscenza, il bagaglio di doti che ciascun individuo porta con sé e che in un ambiente lavorativo possono essere ( o meno ) valorizzate al fine di rendere più efficienti ed efficaci i processi.
Muda: se non puoi eliminarli, conoscili
Se non possiamo eliminare un muda, quindi, possiamo però conoscerlo, analizzarlo e limitarlo il più possibile.
E c’è un approccio scientifico, su cui poggia ogni autentica trasformazione lean, e che si basa su cinque fasi, secondo la logica spdca:
Muda analyisis
La muda analysis è il processo di analisi dello spreco, reso graficamente in forma di worksheet, che si inserisce tra la fase di identificazione e quella della predisposizione delle azioni necessarie alla sua eliminazione.
Tra gli strumenti più utili che si possono usare a supporto della muda analysis c’è il worksheet.
Problem solving
Passiamo ora brevemente in rassegna alcuni strumenti utili al problem solving.
Il report a3 – semplice, rigoroso e standardizzato – permette di affrontare i problemi, comprenderne le cause profonde, proporre soluzioni e monitorare l’avanzamento delle stesse fino alla creazione di standard work per lo specifico processo.
Il diagramma 4m + e – già citato parlando dello strumento worksheet a supporto della muda analysis – si applica nella fase scan, nella quale si cerca di comprendere il problema.
Lo schema 5w2h è invece fondamentale in una fase successiva, quella della pianificazione di un’azione correttiva.
Le parole in questo caso sono da declinare al futuro:
VA-NVA analysis
L’analisi va – nva ( valore aggiunto – non valore aggiunto ) può essere considerata come la concezione lean dello studio dei tempi e metodi di lavoro.
Il tva – tempo a valore aggiunto – è il tempo impiegato in attività che apportano valore al prodotto dal punto di vista del cliente.
Il tnva è invece il tempo impiegato in attività che non apportano valore aggiunto al prodotto
Si misura il tempo di esecuzione di ogni azione e lo si annota in una tabella, distinguendo tramite apposite caselle le attività a valore aggiunto (tempo a valore aggiunto, tva), quelle che non danno valore aggiunto ma non sono al momento eliminabili (tnva1) e quelle non a valore aggiunto che invece possono essere rimosse o ridotte (tnva2). Ogni operazione inizia e termina con l’operatore a mani libere.
È quindi possibile calcolare il processing time attuale complessivo del processo preso in considerazione.
Si analizza ogni singola operazione al fine di eliminare le attività nva2 e di portarne la quota parte ineliminabile nell’alveo delle attività nva1.
Si definisce un piano di azione finalizzato a rimuovere le nva2 e a ridurre il tempo impiegato in attività nva1, e lo si pianifica in ottica 5w2h: per ogni fase si inserisce una breve descrizione del problema, la proposta di miglioramento, l’area di intervento e il destinatario.
Il risultato finale è un nuovo processing time – più breve di quello iniziale
Il passo successivo è riprogettare il processo in modo bilanciato. Il bilanciamento consiste nell’assegnare le lavorazioni fra le risorse produttive al fine di rispettare l’output richiesto massimizzando l’efficienza.
Il numero delle postazioni teoriche è dato dal rapporto tra il nuovo processing time ottenuto con la va – nva analysis e il takt time, ovviamente approssimato per eccesso.
Per suddividere le operazioni tra il numero di postazioni necessarie a soddisfare il cliente ( determinando quindi il ct reale, per quanto di progetto ) si utilizza lo yamazumi o operator balance chart, uno strumento grafico che assiste nella creazione del flusso continuo in un processo multi – step, multi – operator,attraverso la distribuzione degli elementi di lavoro agli operatori in relazione al takt time.
Il cycle time reale ( di progetto ) del processo risulterà quindi essere pari al massimo tra i tempi di fase, ovvero quello relativo alla postazione bottleneck.
Collegamento alla domanda
Questa, nel lean thinking altro non è che il valore richiesto dal cliente come output di un processo di trasformazione in un momento, luogo e quantità precisi.
Questo concetto è alla base dell’esistenza stessa del processo, perché un’attività produttiva, di qualsiasi tipo, ha senso di esistere solo nel momento in cui si ha una domanda per il suo prodotto o servizio.
Una volta individuata la domanda, quello che bisogna fare è allineare a questa il risultato del processo.
Per poterlo fare, è necessario, attraverso la corretta gestione del flusso informativo, far conoscere a monte la domanda che normalmente si trova a valle.
Una volta passata l’informazione, sarà necessario progettare un processo in grado di creare l’esatto output che soddisfa la domanda.
Una volta trasmessa, la domanda va ovviamente realizzata da un processo adeguatamente industrializzato.
Trasmettere la domanda
La prima azione è trasmettere la domanda, vale a dire far scorrere le informazioni sul valore richiesto lungo tutte le fasi del processo.
La seconda azione è realizzare la domanda, ovvero progettare e implementare un processo che sia in grado di erogare l’output richiesto.
Sono quattro le caratteristiche di una corretta trasmissione della domanda:
Pavanato analizza le due principali tipologie di fattori che possono influire sui cambiamenti della domanda.
La prima categoria è formata dalle variabili non controllabili – ma spesso conoscibili e pertanto gestibili –, ovvero da tutti quei fattori su cui
non possiamo agire direttamente, e che al massimo possiamo prevedere con un certo margine di errore.
Alcuni esempi sono la congiuntura economica, la stagionalità, i trend del mercato o il caso.
La seconda categoria è costituita dalle asimmetrie informative: sono proprio le variazioni auto – inflitte, su cui invece possiamo intervenire al fine di eliminarle.
Si tratta di una variabile endogena, che dipende da noi – o meglio, dipende da tutti gli attori di una supply chain.
Un’azienda lean è anche un’azienda trasparente.
Quando la domanda non si trasmette in modo ottimale, si generano distorsioni che rendono lo svolgimento del processo poco equilibrato e possono mettere in difficoltà le imprese coinvolte nella catena di fornitura.
Realizzare la domanda
La prima metrica è il takt time, ovvero il ritmo della domanda.
È la portata richiesta dal cliente: quanti pezzi chiede il mercato, e in quale unità di tempo.
La seconda metrica è il cycle time, il ritmo della produzione: è il tempo medio che passa tra l’uscita di due pezzi consecutivi dal processo
La terza metrica di processo che non si può ignorare è il lead time, l’intervallo di tempo tra due eventi, per esempio tra l’arrivo di un ordine e la consegna del prodotto, oppure tra l’inizio e la fine della produzione.
Una parte del lead time è costituita dal processing time: il tempo effettivo impiegato da una singola risorsa trasformante per processare interamente un’unità di prodotto, senza interruzioni.
Gestire le risorse trasformate
La progettazione riguarda due aspetti: la gestione delle risorse trasformate ( tipicamente materiali, informazioni o persone ) e la gestione delle risorse trasformanti ( persone e macchine ).
Il tempo di attraversamento del processo invece è il risultato di come l’azienda ha progettato i tre flussi: flusso operativo, flusso informativo e workflow.
Se il lead time richiesto è maggiore del lead time di processo, allora il processo può essere sincronizzato sulla domanda del cliente.
Nella maggior parte dei casi però il lead time richiesto è inferiore al lead time di processo, perché il cliente vuole il nostro prodotto in un tempo minore rispetto a quello necessario per gestire tutte le fasi con le relative code ed effettuare la consegna.
In questo caso sono due le azioni che è possibile mettere in campo: la prima è lavorare sul processo al fine di accorciare il lead time fino a rientrare nella condizione precedente, ovvero la sincronizzazione sulla domanda.
La seconda è disaccoppiare il processo dalla domanda del cliente, introducendo in uno o più punti del processo disaccoppiamenti e scorte.
Disaccoppiare significa introdurre una scorta, generando una cesura nel fluire del processo.
Il processo disaccoppiato è costituito dalle attività a previsione ( push ) – con l’utilizzo di sistemi come il Material Requirements Planning ( mrp ) o altri – o a ripristino ( pull ) – in questo caso può usare sistemi di tipo kanban o supermarket.
La seconda parte è il processo sincronizzato, costituito dalle attività che si mettono in atto quando arriva un ordine di vendita, senza ricorrere a scorte.
In base a dove si trova, nel processo, l’ultimo punto di disaccoppiamento, si definiscono diversi modelli di risposta al cliente.
Il modello Make to Stock ( mts ) o Delivery to Order ( dto ) prevede di mettere a disposizione del cliente un prodotto finito già pronto: il lead time percepito dal cliente è ridotto al minimo.
Nel modello Assembly to Order ( ato ) le scorte si preparano immediatamente a monte delle ultime fasi di produzione ( tipicamente l’assemblaggio ).
L’ultima parte del processo di produzione è sincronizzata con il lead time del cliente.
Make to Order ( mto ) indica un modello nel quale il processo sincronizzato coincide con l’inizio della produzione.
Nel modello Purchase to Order ( pto ) l’azienda acquista dai fornitori le materie prime e i semilavorati solo quando riceve un ordine.
Infine il modello in cui il processo è quasi interamente sincronizzato è definito Engineer to Order ( eto ): qui anche le fasi di progettazione e di ingegnerizzazione dipendono dall’arrivo di uno specifico ordine.
Dal punto di vista fisico disaccoppiare significa creare una scorta. Nella gestione di una scorta si possono seguire due macro-criteri tra loro alternativi: la logica push e la logica pull.
Secondo la logica push ( spinta ) i fabbisogni dei materiali necessari alla produzione sono determinati in anticipo, sulla base di una previsione,
La logica pull ( tirare ) funziona in senso inverso: sono i centri di lavoro che, una volta terminata la lavorazione di una determinata quantità di materiale, a tutti gli effetti autorizzano un centro precedente a inviare del nuovo materiale da lavorare.
Cinque modi per collegare le fasi di un processo
Il modo migliore per collegare due fasi è il flusso sincronizzato, senza scorte intermedie tra una fase e l’altra.
All’estremo opposto, il modo peggiore per collegare le fasi è la soluzione push.
Nel mezzo, tra il flusso sincronizzato e il modello push, esiste una gamma di soluzioni intermedie, che si adattano a diverse conformazioni della domanda e diverse tipologie di produzione.
Il sistema sincronizzato con buffer prevede di sincronizzare due fasi ma di non collegarle direttamente, introducendo invece una zona cuscinetto, ovvero una scorta, tra due fasi.
Un sistema simile a quello appena citato è il sequenced pull o pull sequenziale. Prevede che il flusso informativo si muova da valle a monte, in senso inverso rispetto alla produzione.
Proseguendo in direzione di una quantità di scorte tendenzialmente più alta, ecco il sistema pull con ripristino, che utilizza strumenti quali il magazzino supermarket e il cartellino kanban.
Heijunka
Uno degli strumenti più usati per verificare che il livellamento della produzione venga mantenuto e rispettato è l’heijunka board, uno strumento informativo visuale in cui si indica la quantità di beni da produrre e l’intervallo di tempo necessario per farlo.
Per la corretta progettazione di un heijunka board è necessario:
Kanban
Il kanban ( kan = visuale, ban = cartellino ) è uno strumento per il controllo del flusso pull disaccoppiato, che prevede una gestione dei materiali direttamente dallo shopfloor – cioè dall’area dove avviene la produzione – e non necessita in teoria di alcun software per la gestione, anche se oggi quasi sempre si associa a un programma informatico per poter ottenere maggior controllo, flessibilità, riduzione delle attività nva e ulteriori vantaggi.
Affinché il kanban sia efficace, è necessario dimensionarlo – ovvero, in buona sostanza, determinare per ciascun codice il numero di contenitori che devono ruotare (svuotarsi, riempirsi, svuotarsi,…) nel sistema.
« # KB » è ovviamente un numero intero di contenitori, da cui la necessità di arrotondare per eccesso la prima parte della formula.
« LT » indica il lead time di riapprovvigionamento: quanti giorni sono necessari al fornitore interno o esterno per ripristinare il componente a supermarket.
« LTS » indica il lead time di sicurezza, ovvero quanti giorni di copertura aggiuntivi si desidera avere per tutelarsi da eventuali problemi di fornitura.
« Q » è la quantità di pezzi per ogni contenitore, da verificare dopo l’identificazione del contenitore ottimale. Nella
« C » è il consumo massimo durante il lead time, e indica il consumo espresso in pezzi / unità di tempo ( tipicamente giorni ) che il sistema dovrà sostenere.
Il kanban ha diversi vantaggi:
Il Miglioramento continuo
Interiorizzato il quarto, si arriva al quinto principio, cioè il miglioramento continuo, che spesso viene inteso come sinonimo di lean thinking, mentre ne è solo una parte anche se molto importante.
Kaizen signica letteralmente “cambiare in meglio” e, nella trasformazione lean, lo applichiamo spesso insieme al kaikaku, cioè la creazione di un punto di rottura con il passato, in modo da progettare e realizzare un processo ex novo.
Il miglioramento continuo è proprio l’unione tra questi due concetti. Il processo di trasformazione si articola infatti con l’analisi della situazione precedente, la progettazione ed introduzione di cambiamenti no alla creazione dei relativi standard, che possono essere migliorati di giorno in giorno attraverso il kaizen.
Per riuscire a rendere efficace questo processo di miglioramento, l’equazione del cambiamento ci dice che servono: visione, competenze, incentivi, risorse e un piano d’azione.
Togliendo anche solo uno di questi elementi, il cambiamento non può funzionare, o richiederà comunque moltissimo sforzo.
Kaizen è la combinazione di due parole giapponesi: kai ( cambiamento ) e zen ( bene ). Indica il miglioramento continuo e incrementale dei processi standardizzati e si basa su una strategia dei piccoli passi: giorno dopo giorno, in piccoli « cantieri », si modifica lo standard, facendolo evolvere e migliorandolo.
Che fare dunque quando manca uno standard? Va applicato il kaikaku: da kai (cambiamento ) e kaku ( radicale ), è il miglioramento profondo e repentino dei processi, ottenuto grazie a un progetto di relativamente breve durata finalizzato a creare un punto di discontinuità con il passato.
In un sistema lean il miglioramento continuo consiste proprio nella combinazione tra queste due pratiche.
Si analizza la situazione esistente, si progettano e introducono dei cambiamenti anche radicali ( kaikaku ), li si rende standard condivisi che sono poi ulteriormente migliorati giorno dopo giorno attraverso il kaizen.
Sia kaizen che kaikaku si basano sulla logica spdca.
Misurare il cambiamento
È necessario misurare gli effetti del cambiamento.
Per misurare gli effetti del cambiamento dobbiamo definire uno o più Key Performance Indicator ( kpi ), parametri misurabili che esprimono la performance di un processo e si prestano a valutare il gap tra lo stato corrente e un obiettivo.
L’equazione del cambiamento
Esistono diversi framework che aiutano a visualizzare le variabili che entrano in gioco quando un’organizzazione affronta un cambiamento;
tra queste risulta particolarmente efficace il modello Managing complex change, sviluppato da Mary Lippitt: uno schema che aiuta a visualizzare il cambiamento come una sorta di equazione sistemica.
Un percorso di cambiamento, per avere successo, richiede che siano presenti cinque elementi di base:
KPI
Come creare un kpi in ottica spdca:
In una strategia lean, i kpi si suddividono in tre livelli:
E infine…… Coinvolgimento di tutti
Una volta compresi i primi cinque princìpi, si arriva al sesto, cruciale per il mantenimento dei miglioramenti che si possono raggiungere in un percorso di trasformazione lean, perché consiste nel coinvolgimento di tutti.
Il programma di trasformazione deve rappresentare un vero e proprio cambiamento culturale che deve investire tutta l’organizzazione, senza togliere responsabilità al vertice, ma distribuendone anche alle persone che solitamente ne hanno meno.
Il mancato coinvolgimento a tutti i livelli è una delle due cause più importanti per cui le lean transformation falliscono: l’altra è la confusione tra fare lean, applicare solamente le tecniche, senza comprendere ed interiorizzare i princìpi su cui si basano, con l’essere lean, cioè essere in grado di spiegare perché vanno applicati metodi e tecniche.
I principali motivi per cui le lean transformation falliscono sono due, e nessuno dipende da un eccesso di verticismo.
Il primo motivo è che si confonde il « fare lean » con l ’ « essere lean »: ci si ferma cioè al livello delle tecniche, che vengono applicate ma senza comprendere davvero perché.
La seconda, e più decisiva, causa di fallimento è dovuta al fatto che il management non guida la trasformazione.
Oppositori, resistenti e innovatori
Tipicamente in un ambiente di lavoro – ma anche in altri contesti sociali – si possono suddividere le persone in tre macro categorie, sulla base del loro atteggiamento verso le novità: oppositori, resistenti e innovatori.
Rogers distingue cinque tipologie di persone:
Quando l’adozione di una tecnologia raggiunge la soglia critica della metà della popolazione di riferimento, allora anche per i ritardatari cresce la predisposizione al suo utilizzo.
Visual management
Ecco le principali caratteristiche di una gestione visual corretta:
Ci si può avvalere di diversi tool.
Ecco alcuni dei più diffusi:
Tra i benefici che il visual management può apportare:
Il Sistema strategico
L’ultimo principio è quello del sistema strategico, necessario per non fermarsi al solo miglioramento puntuale, ma per arrivare ad uno più totale, in cui sono coinvolti anche quello lineare, quello allineato e quello sistemico, per poter aumentare il valore portato al cliente.
L’evoluzione del miglioramento
Il primo stadio è il miglioramento puntuale. Gli americani amano chiamarlo popcorn kaizen: consiste in una serie di focolai di miglioramento distribuiti nell’organizzazione, non collegati tra loro da una strategia precisa.
Una fase evolutiva più avanzata è rappresentata dal miglioramento lineare.
Questo problema si supera quando raggiungiamo il terzo stadio, quello del miglioramento allineato. In pochi lo praticano davvero: a questo livello tutte le linee del punto precedente sono orientate verso la stessa direzione.
Il miglioramento sistemico è il quarto e più alto livello.
Nelle aziende che sono arrivate a questo stadio, il ruolo del management è più legato alla gestione del miglioramento, alla formazione e allo sviluppo delle persone che alla guida dell’operatività.
La bussola dell’hoshin kanri
L’hoshin kanri, un termine che possiamo tradurre come politiche di gestione o policy management, è, più che una tecnica, un vero e proprio approccio metodologico alla pianificazione e gestione strategica.
Concettualmente, l’hoshin kanri ha una struttura a cascata che prende strategie, tattiche, kpi e risultati attesi e ne verifica l’allineamento tra di loro, all’interno della singola categoria, e tra categorie, definendo poi l’accountability per ciascun progetto.
L’hoshin kanri può essere implementato attivando fino a quattro tipologie di team, organizzate secondo la già citata struttura a cascata.
L’hoshin team ha la responsabilità di definire strategie in un orizzonte temporale medio – lungo.
Gli esperimenti di sua competenza sono tre:
I tactical teams, nominati dal team hoshin, hanno una responsabilità tattica e operano in un orizzonte temporale medio.
Gli esperimenti di loro competenza riguardano lo sviluppo di tattiche: iniziative concrete a 6 – 18 mesi definite dall’hoshin annuale.
Gli operational teams, sottoposti ai team tattici, hanno una responsabilità operativa e lavorano con un orizzonte temporale medio – breve.
Di loro competenza sono progetti operativi a 6 – 18 mesi per implementare le tattiche.
Gli action teams, che operano sotto la direzione dei team operativi, hanno un orizzonte temporale breve: mettono in atto i kaikaku ( progetti operativi a 1 – 3 mesi per applicare nuovi metodi e strumenti al fine di creare nuovi standard ) e i kaizen ( i cantieri di miglioramento legati a variazioni da standard precedentemente definiti ).
A3-X
La matrice a3 – x è lo strumento principale per l’allineamento strategico: serve a garantire la coerenza tra le strategie dell’organizzazione, i progetti ( o le tattiche ) della stessa, gli indicatori utilizzati per misurarli e i risultati complessivi attesi, mantenendo attive, coinvolte e allineate tutte le persone chiave in azienda ed evitando che alcune parti dell’organizzazione portino avanti progetti di cui altre parti non sono a conoscenza.
Il foglio è diviso in 4 sezioni principali con al centro la vision o il why aziendale, che costituisce il true north di qualsiasi lean transformation, ovvero la direzione principale verso cui si muove l’organizzazione, il suo sogno.
Le 4 sezioni principali, che si diramano dai quattro lati del why, sono costituite da strategie, risultati, kpi di processo, tattiche/progetti. Le sezioni secondarie, che si trovano fra le coppie di sezioni principali, ospitano i fattori di correlazione fra esse.
Una quinta sezione contiene informazioni sull’accountability dei vari progetti.
A3-T
L’a3 – t è lo strumento utilizzato per tradurre l’hoshin kanri – la pianificazione strategica – in una serie di tattiche finalizzate al raggiungimento degli obiettivi.
Presentiamo di seguito i campi che compongono la matrice a3 – t.
Un percorso in cui sono presentati tutti i principali strumenti del lean management.
Che dire, un libro assolutamente da leggere e rileggere…..