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The lean Book- Riccardo Pavanato

Come creare processi efficaci ed efficienti in ogni organizzazione

Avete mai provato ad affrontare un cambiamento lean in azienda?

Gli strumenti di lavoro sono tanti e spesso non si sa da dove iniziare….

Ci viene in Soccorso Riccardo Pavanato con il suo libro The Lean Book.

The Lean Book è un libro di Riccardo Pavanato che illustra in modo sintetico i principi e le tecniche del lean thinking fornendo un riassunto degli strumenti principali.

Il lean Thinking è un approccio per creare processi efficaci ed efficienti in ogni organizzazione.

Il libro si basa sull’esperienza dell’autore come consulente e formatore di Auxiell, una società che si occupa di lean transformation.

Il libro è diviso in sette capitoli:

  • La prima parte introduce il concetto di valore per il cliente, che è il fine ultimo da perseguire in ogni processo. Il valore è ciò per cui il cliente sarebbe disposto a pagare e che soddisfa le sue esigenze e aspettative.
  • La seconda parte spiega come analizzare i processi, ovvero l’insieme di operazioni che trasformano le risorse in output. I processi si compongono di tre flussi: il flusso operativo, il flusso informativo e il workflow. Il libro presenta vari strumenti per mappare, misurare e migliorare i processi, come il value stream mapping, il takt time, il kanban e il kaizen.
  • La terza parte si focalizza sull’eliminazione degli sprechi, le attività che non aggiungono valore al prodotto o al servizio e che consumano tempo, spazio, materiali o energia. Il libro descrive i sette tipi di sprechi e come individuarli e ridurli, usando tecniche come i 5S, i 5 perché, il poka yoke e il jidoka.
  • La quarta parte tratta del collegamento alla domanda, il principio che regola il flusso di produzione in base alla richiesta del cliente. Il libro illustra come sincronizzare la domanda e l’offerta, usando metodi come il pull system, il just in time, il heijunka e il SMED.
  • Il quinto capitolo parla del Miglioramento continuo e della logica SPDCA, quello che ogni organizzazione dovrebbe mettere in pratica in modo permanente
  • Nel sesto capitolo  spiega come coinvolgere tutto il personale e distribuire la conoscenza in tutta l’organizzazione, che diventa una learning organization
  • Infine nel settimo capitolo Pavanato illustra lo strumento dell’Hoshin Kanri, il sistema strategico della lean

Il libro offre anche numerosi esempi, casi pratici e riferimenti bibliografici per approfondire i temi trattati.

Nel suo libro The Lean Book, Riccardo Pavanato usa vari strumenti per illustrare e applicare il lean thinking, un approccio per creare processi efficaci ed efficienti in ogni organizzazione.

Alcuni di questi strumenti sono:

  • Value stream mapping: una tecnica per mappare il flusso di valore di un processo, ovvero l’insieme delle attività che trasformano le risorse in output per il cliente. Il value stream mapping permette di identificare le fonti di spreco, i colli di bottiglia, i tempi di attesa e le opportunità di miglioramento
  • Takt time: il ritmo di produzione necessario per soddisfare la domanda del cliente. Il takt time si calcola dividendo il tempo disponibile per la produzione per il numero di unità richieste dal cliente. Il takt time è un indicatore per bilanciare il carico di lavoro tra le stazioni di lavoro e per eliminare gli eccessi di produzione
  • Kanban: un sistema visivo per controllare il flusso di produzione e gestire le scorte. Il kanban si basa sull’uso di schede o segnali che indicano la quantità di materiale o prodotto da trasferire tra le fasi del processo. Il kanban è un metodo per implementare il pull system, ovvero la produzione in base alla richiesta del cliente
  • Kaizen: la pratica del miglioramento continuo, basata sull’idea che ogni processo può essere sempre migliorato. Il kaizen coinvolge tutte le persone dell’organizzazione, che partecipano a sessioni di brainstorming, analisi dei problemi, implementazione delle soluzioni e verifica dei risultati. Il kaizen si basa sul metodo scientifico del PDCA (Plan-Do-Check-Act)

Come si passa dalla produzione di massa ai metodi lean?

Ci sono 5 step verso la produzione snella:

  • definire il valore
  • definire il flusso di valore;
  • far scorrere il flusso;
  • tirare il flusso;
  • ricercare la perfezione.

Questi passaggi si possono sviluppare attraverso  un framework per distinto in tre livelli,

  1. principi,
  2. tecniche,
  3. Strumenti

 

I principi sono sette:

  1. Valore per il cliente,
  2. I tre flussi ,
  3. Eliminazione degli sprechi,
  4. Collegamento alla domanda,
  5. Miglioramento continuo,
  6. Coinvolgimento di tutti e
  7. Sistema strategico.

Il secondo livello contiene le tecniche e i metodi che rappresentano l’applicazione dei principi a un contesto concreto ad es lo Smed,  che vanno sempre accompagnate al principio di fondo per cui si usano.

Se non capisci i principi di fondo della lean le tecniche servono a poco;

è uno dei principali motivi per cui non si riesce ad applicare la lean.

Mi capita spesso di lavorare con imprenditori che vogliono la tecnica magica per risolvere i loro problemi, ma non sono disposti a metterci risorse, tempo , impegno e congruenza.

Il terzo livello è costituito dagli strumenti, ovvero le modalità operative a supporto dei metodi e delle tecniche.

 

Il Valore per il cliente

Comprendere che il valore è tutto ciò per cui il cliente sarebbe disposto a pagare ci permette di intraprendere un lean journey efficiente ed efficace.

Nell’azienda lean ideale il ritmo di lavoro non è eccessivamente veloce, ma molto costante e ad alta percentuale di valore aggiunto

Ogni processo è costituito da un diverso mix di quattro elementi:

  • lavorazione,
  • trasporto,
  • ispezione e
  • attesa

Per ciascuno di questi bisogna chiedersi:

può aggiungere valore al processo e al suo output ?

Spesso ci si concentra troppo sul miglioramento delle attività che aggiungono valore, e troppo poco sulle attività che non ne aggiungono, ma nelle quali si annidano molti costi, allungamenti dei tempi e perdite di qualità

L’attesa non aggiunge valore. Al contrario, la velocità e la puntualità della consegna costituiscono sempre un valore per il cliente

L’ispezione non aggiunge valore.

L’obiettivo a cui si deve tendere è un processo che produca zero difetti, al punto di non necessitare di alcun controllo

Il trasporto non aggiunge valore, al contrario fa salire costi e tempi.

La lavorazione è il solo elemento di un processo che può aggiungere valore al prodotto, a patto che quella determinata lavorazione sia richiesta dal cliente.

Quindi bisogna lavorare a togliere tutto cio’ che non aggiunge valore

I tre flussi di ogni processo

Dopo aver spiegato cos’è il valore per il cliente, si passa al secondo principio, che aiuta a capire come funziona ogni attività, perché analizza l’insieme di operazioni che ci permettono di trasformare un input nell’output desiderato.

Queste operazioni si dividono nei tre flussi fondamentali, che si ritrovano in ogni processo:

  1. flusso operativo, che è la sequenza di azioni necessarie a trasformare le risorse;
  2. flusso informativo, cioè l’insieme delle informazioni indispensabili per lo scorrere del flusso operativo;
  3. workflow, il lavoro di uomini e macchine che è fondamentale per unire gli altri due flussi e raggiungere l’output desiderato.

 

Nella progettazione di un processo è corretto cominciare dal flusso operativo, l’unico che genera valore per il cliente.

In seconda battuta si progetta il flusso informativo, mentre il workflow viene definito per ultimo.

Ogni processo è determinato da quattro fattori più uno, definiti 4m + e:

  • machines ( macchine );
  • materials ( materiali );
  • men ( manodopera );
  • methods ( metodi );
  • environment ( ambiente ).

Gli ostacoli allo scorrere del flusso

Questi ostacoli sono di tre tipi: le tre « mu ».

Il primo ostacolo è il muda.

La seconda « mu » è muri: indica il sovraccarico.

Infine la terza « mu » è quella di mura,che significa irregolarità.

 

Le cause principali del mura sono tre.

  • La prima causa di mura è la non qualità.
  • La seconda causa di mura è la variabilità della domanda,
  • La terza ragione per cui si manifesta il mura è la mancanza di standardizzazione dei prodotti, che amplifica all’interno dell’organizzazione le perturbazioni presenti all’esterno della stessa.

5S

Le 5s sono fondamentali per creare un ambiente adatto alla trasformazione di un processo, ma non sono sufficienti.

Jidoka

Il termine jidoka può essere tradotto come « autonomazione » – contrazione di autonomia e automazione –, ovvero « automazione con un tocco umano ».

 

Le precondizioni sono l’utilizzo di indicatori smart e strumenti di visual management per la fase di check, un empowerment diffuso che consente di delegare al giusto livello la responsabilità, la presenza di standard nei processi per evidenziare immediatamente la comparsa di un’anomalia, l’utilizzo di strumenti di problem solving per risolvere il problema.

Una metodologia del Jidoka è il Poka Yoke

Si distinguono due categorie di poka – yoke:

  • di prodotto, in cui la progettazione del componente o del prodotto è tale da impedire la generazione dell’errore;
  • di processo, dove è la progettazione del processo a inibire che sorgano irregolarità.

 

Una forma di visual management ( approfondimento al capitolo 6 ) spesso utilizzata a supporto del poka – yoke è l’andon

Value stream mapping

È composto di tre sezioni fondamentali:

  • il flusso operativo,
  • il flusso informativo e
  • la timeline.

 

Per realizzare un vsm si segue questo percorso:

  1. Identificazione dei processi – attraverso l’individuazione delle famiglie di prodotto servendosi della group technology.
  2. Una volta definiti i confini della mappatura, si procederà alla realizzazione della current state map – la « fotografia » dello stato corrente.
  3. La muda analysis è il processo che a partire dalla manifestazione di uno spreco porta all’identificazione della o delle cause radice che lo generano
  4. Current state map e muda analysis costituiscono gli input per la future state map, che tipicamente viene realizzata in più scenari e più alternative, alcuni dei quali blue sky ovvero ideali e forse non realizzabili, tuttavia utili per rappresentare l’obiettivo ultimo a cui tendere.
  5. A seguire è fondamentale tradurre le idee in azione generando un action plan che contenga i task da svolgere per eliminare o mitigare le cause radice emerse dalla muda analysis e raggiungere lo stato definito dalla future state map.

Lean layout

Il layout di un impianto produttivo è lo studio della disposizione del complesso di macchine, apparecchiature e servizi atti a permettere la trasformazione di materie prime o derivati in prodotti finiti.

Il lean layout è invece una disposizione spaziale dei centri di creazione del valore – e dei relativi punti di approvvigionamento e di disaccoppiamento che sia funzionale alla generazione del valore per il cliente e per l’azienda attraverso l’implementazione di flussi privi di sprechi.

 

Si ottiene applicando un metodo strutturato che mira ad analizzare, progettare e definire la disposizione spaziale dei centri di creazione del valore, attraverso cinque passi fondamentali.

  • Il primo è la comprensione o la creazione delle famiglie di prodotto, ovvero gruppi di prodotti che, nel loro processo di produzione, passano attraverso gli stessi passi produttivi e le stesse attrezzature
  • Il secondo è la mappatura dei processi
  • I successivi passi sono il layout macro,
  • il layout micro e
  • il layout di postazione, che corrispondono ad altrettanti livelli di riprogettazione degli spazi.

Nell’ambito del lean layout è necessario dimensionare e bilanciare i processi e le relative infrastrutture produttive (celle, linee, reparti,…), gestendo i bottleneck – colli di bottiglia – e allo stesso tempo evitando quando possibile il sottoutilizzo di risorse.

E’ necessario rispettare il takt time, cioè  il ritmo al quale il mercato richiede prodotti finiti.

SMED

Lo smed, acronimo di Single Minute Exchange of Die è una tecnica che permette di ridurre il tempo di setup – o attrezzaggio, o changeover.

Si basa sulla distinzione tra attività di setup interno ( ied – Inside Exchange of Die ), ovvero che devono essere eseguite a impianto fermo – come la rimozione dello stampo in una pressa –, e attività di setup esterno ( oed – Outside Exchange of Die ), che possono essere svolte a impianto in funzione – per esempio la pulizia dello stampo rimosso.

 

Prevede sei fasi:

  1. nella fase zero ied e oed non sono distinti;
  2. nella fase 1 si identifica quali attività appartengono a una e all’altra categoria, attraverso una rilevazione del processo di setup;
  3. nella fase 2 le attività vengono raggruppate, ovvero concettualmente svolte a impianto operativo o fermo;
  4. la fase 3, cruciale, prevede la trasformazione di attività ied in oed, intervenendo sulle 4m del processo – setup: machines, modificando l’impianto, men, rendendo disponibili le risorse prima, durante e dopo l’attrezzaggio, materials, organizzando i rifornimenti tipicamente come oed, e methods, riorganizzando le fasi del processo in funzione dell’esternalizzazione delle attività ied;
  5. nella fase 4 si riduce il tempo di setup interno ( ied );
  6. nella fase 5 si riduce il tempo di setup esterno ( oed ).

 

TPM

Total productive maintenance ( tpm ) –manutenzione produttiva totale – è un sistema di metodi e strumenti che mira al raggiungimento della massima efficienza degli impianti, focalizzando l’attenzione sulle attività degli operatori, della manutenzione e dei tecnici di processo.

TPM si può suddividere in quattro punti chiave:

  1. Il primo è la scelta e progettazione dei macchinari, ovvero l’adozione, in fase di progettazione o di acquisto, di accorgimenti che facilitino la manutenzione.
  2. Il secondo è la manutenzione autonoma, ossia l’insieme di tutte le attività di miglioramento che possono essere svolte dagli operatori, come la segnalazione di anomalie, la pulizia, l’ispezione,la gestione del mantenimento, fino al raggiungimento di una gestione autonoma completa. In questo modo si minimizza il ricorso a manutentori specialisti esterni.
  3. Il terzo è la manutenzione preventiva, che consiste nel prevenire l’insorgere dei guasti, evitando così pesanti stop alla produzione.
  4. Il quarto è la manutenzione predittiva, che consente di attivare gli interventi di manutenzione sulla base di parametri che vengono misurati ed elaborati servendosi di modelli matematici in grado di calcolare con un alto livello di precisione a quanto ammonti il tempo residuo prima del guasto.

 

Eliminare gli sprechi

Il terzo principio, è quello per cui è forse più famoso il lean, ovvero l’eliminazione degli sprechi, le attività che non aggiungono valore al prodotto e che, spesso, rallentano il lavoro invece di renderlo più semplice e veloce.

Gli sprechi sono sette piu’ uno…..

Sovrapproduzione

Con muda di sovrapproduzione si indica la produzione di più di ciò che serve alla fase successiva del processo, o prima dell’effettiva necessità.

Attesa

Il muda dell’attesa è l’inattività delle risorse in trasformazione o trasformanti ( per esempio i macchinari o le persone ), che può essere dovuta all’esaurimento dei materiali, a guasti alle attrezzature, a ritardi dovuti a lotti di cui si attende l’arrivo, fino alla mancanza di competenze che richiede del tempo per colmare la lacuna di un operatore.

Trasporti

Il trasporto è la movimentazione delle risorse prima, dopo e durante la loro trasformazione. Per esempio, in una fabbrica, il trasferimento di componenti da un magazzino alla linea di produzione, e in un ufficio lo spostamento di dati tramite supporti fisici come chiavette Usb e hard disk o tramite il web.

Processi non corretti

Un esempio di processo non corretto in produzione è l’esecuzione di controlli in

accettazione quando un fornitore garantisce già prodotti senza difetti.

Scorte

Le scorte sono accumuli di risorse da trasformare, in trasformazione o trasformate. Perché rappresentano un intralcio al miglioramento in azienda ? Perché nascondono i problemi, impedendoci di affrontarli e risolverli.

 

Il costo delle scorte su base annua è pari al loro valore ( sempre su base annua ) moltiplicato per una percentuale data dalla somma dei costi di immobilizzazione, gestione, spazio e obsolescenza / senescenza e viene stimato intorno al 12%

Movimenti

La presenza nel workflow di qualsiasi movimento non necessario o compiuto nel modo sbagliato rappresenta un muda. A differenza del muda dei trasporti, quello dei movimenti non si riferisce ai prodotti ma ai lavoratori e alle macchine.

Difetti

La generazione di output difettosi, cioè non aderenti alla richiesta del cliente o alle specifiche tecniche, è il settimo muda.

L’ottavo spreco

La teoria più diffusa propone che esso vada individuato nel mancato utilizzo delle risorse delle persone: la creatività, la conoscenza, il bagaglio di doti che ciascun individuo porta con sé e che in un ambiente lavorativo possono essere ( o meno ) valorizzate al fine di rendere più efficienti ed efficaci i processi.

Muda: se non puoi eliminarli, conoscili

Se non possiamo eliminare un muda, quindi, possiamo però conoscerlo, analizzarlo e limitarlo il più possibile.

 

E c’è un approccio scientifico, su cui poggia ogni autentica trasformazione lean, e che si basa su cinque fasi, secondo la logica spdca:

  1. scan, l’analisi dello stato corrente;
  2. plan, la progettazione dello stato futuro – spesso multiscenario – e la pianificazione delle attività per raggiungerlo, con la definizione degli obiettivi quantitativi ( e di idonei kpi e indicatori );
  3. do, l’esecuzione di quanto progettato coerentemente con il piano definito;
  4. check, il controllo del raggiungimento degli obiettivi definiti in fase di plan;
  5. act, la stabilizzazione e la standardizzazione dello stato futuro progettato, ormai diventato realtà effettiva.

Muda analyisis

La muda analysis è il processo di analisi dello spreco, reso graficamente in forma di worksheet, che si inserisce tra la fase di identificazione e quella della predisposizione delle azioni necessarie alla sua eliminazione.

 

Tra gli strumenti più utili che si possono usare a supporto della muda analysis c’è il worksheet.

  • Si compone di cinque righe in corrispondenza delle 4m + e ( methods, men, machines, materials, environment ) e di una serie di colonne verticali:
  • la prima colonna è dedicata alla definizione del muda;
  • la seconda alla sua classificazione tra le tipologie di spreco;
  • a queste seguono le colonne dei 5 whys, i cinque perché da porsi per investigare le root causes dello spreco. Perché si è riscontrato un problema ? Dopo aver risposto a questa prima domanda, ci si chiede di nuovo: perché ? E così via, esplorando le relazioni causa – effetto fino a identificare la causa originaria. Il metodo non pone limiti al numero di domande che si possono porre, ma si ritiene per convenzione che cinque siano sufficienti;
  • quindi la colonna in cui si identifica la causa radice;
  • infine, le colonne dedicate alle priorità individuate e alle azioni correttive da mettere in atto per rimuovere il muda.

Problem solving

Passiamo ora brevemente in rassegna alcuni strumenti utili al problem solving.

Il report a3 – semplice, rigoroso e standardizzato – permette di affrontare i problemi, comprenderne le cause profonde, proporre soluzioni e monitorare l’avanzamento delle stesse fino alla creazione di standard work per lo specifico processo.

 

Il diagramma 4m + e – già citato parlando dello strumento worksheet a supporto della muda analysis – si applica nella fase scan, nella quale si cerca di comprendere il problema.

 

Lo schema 5w2h è invece fondamentale in una fase successiva, quella della pianificazione di un’azione correttiva.

 

Le parole in questo caso sono da declinare al futuro:

  • what ( che cosa succederà ? ),
  • why ( in vista di quale obiettivo ? ),
  • who ( chi sarà coinvolto nella soluzione ? ),
  • where ( dove accadrà ? ),
  • when ( quando ? ),
  • how ( come avviene ? ), con l’aggiunta di
  • how much che permette di trasformare lo strumento da qualitativo a quantitativo, definendo degli indicatori smart

VA-NVA analysis

L’analisi va – nva ( valore aggiunto – non valore aggiunto ) può essere considerata come la concezione lean dello studio dei tempi e metodi di lavoro.

 

Il tva – tempo a valore aggiunto – è il tempo impiegato in attività che apportano valore al prodotto dal punto di vista del cliente.

 

Il tnva è invece il tempo impiegato in attività che non apportano valore aggiunto al prodotto

Si misura il tempo di esecuzione di ogni azione e lo si annota in una tabella, distinguendo tramite apposite caselle le attività a valore aggiunto (tempo a valore aggiunto, tva), quelle che non danno valore aggiunto ma non sono al momento eliminabili (tnva1) e quelle non a valore aggiunto che invece possono essere rimosse o ridotte (tnva2). Ogni operazione inizia e termina con l’operatore a mani libere.

È quindi possibile calcolare il processing time attuale complessivo del processo preso in considerazione.

 

Si analizza ogni singola operazione al fine di eliminare le attività nva2 e di portarne la quota parte ineliminabile nell’alveo delle attività nva1.

 

Si definisce un piano di azione finalizzato a rimuovere le nva2 e a ridurre il tempo impiegato in attività nva1, e lo si pianifica in ottica 5w2h: per ogni fase si inserisce una breve descrizione del problema, la proposta di miglioramento, l’area di intervento e il destinatario.

Il risultato finale è un nuovo processing time – più breve di quello iniziale

Il passo successivo è riprogettare il processo in modo bilanciato. Il bilanciamento consiste nell’assegnare le lavorazioni fra le risorse produttive al fine di rispettare l’output richiesto massimizzando l’efficienza.

Il numero delle postazioni teoriche è dato dal rapporto tra il nuovo processing time ottenuto con la va – nva analysis e il takt time, ovviamente approssimato per eccesso.

Per suddividere le operazioni tra il numero di postazioni necessarie a soddisfare il cliente ( determinando quindi il ct reale, per quanto di progetto ) si utilizza lo yamazumi o operator balance chart, uno strumento grafico che assiste nella creazione del flusso continuo in un processo multi – step, multi – operator,attraverso la distribuzione degli elementi di lavoro agli operatori in relazione al takt time.

 

Il cycle time reale ( di progetto ) del processo risulterà quindi essere pari al massimo tra i tempi di fase, ovvero quello relativo alla postazione bottleneck.

Collegamento alla domanda

Questa, nel lean thinking altro non è che il valore richiesto dal cliente come output di un processo di trasformazione in un momento, luogo e quantità precisi.

Questo concetto è alla base dell’esistenza stessa del processo, perché un’attività produttiva, di qualsiasi tipo, ha senso di esistere solo nel momento in cui si ha una domanda per il suo prodotto o servizio.

Una volta individuata la domanda, quello che bisogna fare è allineare a questa il risultato del processo.

Per poterlo fare, è necessario, attraverso la corretta gestione del flusso informativo, far conoscere a monte la domanda che normalmente si trova a valle.

Una volta passata l’informazione, sarà necessario progettare un processo in grado di creare l’esatto output che soddisfa la domanda.

Una volta trasmessa, la domanda va ovviamente realizzata da un processo adeguatamente industrializzato.

 

 

Trasmettere la domanda

La prima azione è trasmettere la domanda, vale a dire far scorrere le informazioni sul valore richiesto lungo tutte le fasi del processo.

La seconda azione è realizzare la domanda, ovvero progettare e implementare un processo che sia in grado di erogare l’output richiesto.

 

Sono quattro le caratteristiche di una corretta trasmissione della domanda:

  • completezza,
  • chiarezza,
  • correttezza e
  • tempestività.

Pavanato analizza le due principali tipologie di fattori che possono influire sui cambiamenti della domanda.

La prima categoria è formata dalle variabili non controllabili – ma spesso conoscibili e pertanto gestibili –, ovvero da tutti quei fattori su cui

non possiamo agire direttamente, e che al massimo possiamo prevedere con un certo margine di errore.

 

Alcuni esempi sono la congiuntura economica, la stagionalità, i trend del mercato o il caso.

La seconda categoria è costituita dalle asimmetrie informative: sono proprio le variazioni auto – inflitte, su cui invece possiamo intervenire al fine di eliminarle.

Si tratta di una variabile endogena, che dipende da noi – o meglio, dipende da tutti gli attori di una supply chain.

Un’azienda lean è anche un’azienda trasparente.

Quando la domanda non si trasmette in modo ottimale, si generano distorsioni che rendono lo svolgimento del processo poco equilibrato e possono mettere in difficoltà le imprese coinvolte nella catena di fornitura.

Realizzare la domanda

La prima metrica è il takt time, ovvero il ritmo della domanda.

È la portata richiesta dal cliente: quanti pezzi chiede il mercato, e in quale unità di tempo.

 

La seconda metrica è il cycle time, il ritmo della produzione: è il tempo medio che passa tra l’uscita di due pezzi consecutivi dal processo

 

La terza metrica di processo che non si può ignorare è il lead time, l’intervallo di tempo tra due eventi, per esempio tra l’arrivo di un ordine e la consegna del prodotto, oppure tra l’inizio e la fine della produzione.

 

Una parte del lead time è costituita dal processing time: il tempo effettivo impiegato da una singola risorsa trasformante per processare interamente un’unità di prodotto, senza interruzioni.

Gestire le risorse trasformate

La progettazione riguarda due aspetti: la gestione delle risorse trasformate ( tipicamente materiali, informazioni o persone ) e la gestione delle risorse trasformanti ( persone e macchine ).

Il tempo di attraversamento del processo invece è il risultato di come l’azienda ha progettato i tre flussi: flusso operativo, flusso informativo e workflow.

 

Se il lead time richiesto è maggiore del lead time di processo, allora il processo può essere sincronizzato sulla domanda del cliente.

 

Nella maggior parte dei casi però il lead time richiesto è inferiore al lead time di processo, perché il cliente vuole il nostro prodotto in un tempo minore rispetto a quello necessario per gestire tutte le fasi con le relative code ed effettuare la consegna.

In questo caso sono due le azioni che è possibile mettere in campo: la prima è lavorare sul processo al fine di accorciare il lead time fino a rientrare nella condizione precedente, ovvero la sincronizzazione sulla domanda.

La seconda è disaccoppiare il processo dalla domanda del cliente, introducendo in uno o più punti del processo disaccoppiamenti e scorte.

 

 

 

Disaccoppiare significa introdurre una scorta, generando una cesura nel fluire del processo.

 

Il processo disaccoppiato è costituito dalle attività a previsione ( push ) – con l’utilizzo di sistemi come il Material Requirements Planning ( mrp ) o altri – o a ripristino ( pull ) – in questo caso può usare sistemi di tipo kanban o supermarket.

 

La seconda parte è il processo sincronizzato, costituito dalle attività che si mettono in atto quando arriva un ordine di vendita, senza ricorrere a scorte.

In base a dove si trova, nel processo, l’ultimo punto di disaccoppiamento, si definiscono diversi modelli di risposta al cliente.

Il modello Make to Stock ( mts ) o Delivery to Order ( dto ) prevede di mettere a disposizione del cliente un prodotto finito già pronto: il lead time percepito dal cliente è ridotto al minimo.

 

Nel modello Assembly to Order ( ato ) le scorte si preparano immediatamente a monte delle ultime fasi di produzione ( tipicamente l’assemblaggio ).

 

L’ultima parte del processo di produzione è sincronizzata con il lead time del cliente.

 

Make to Order ( mto ) indica un modello nel quale il processo sincronizzato coincide con l’inizio della produzione.

 

Nel modello Purchase to Order ( pto ) l’azienda acquista dai fornitori le materie prime e i semilavorati solo quando riceve un ordine.

 

Infine il modello in cui il processo è quasi interamente sincronizzato è definito Engineer to Order ( eto ): qui anche le fasi di progettazione e di ingegnerizzazione dipendono dall’arrivo di uno specifico ordine.

Dal punto di vista fisico disaccoppiare significa creare una scorta. Nella gestione di una scorta si possono seguire due macro-criteri tra loro alternativi: la logica push e la logica pull.

Secondo la logica push ( spinta ) i fabbisogni dei materiali necessari alla produzione sono determinati in anticipo, sulla base di una previsione,

 

La logica pull ( tirare ) funziona in senso inverso: sono i centri di lavoro che, una volta terminata la lavorazione di una determinata quantità di materiale, a tutti gli effetti autorizzano un centro precedente a inviare del nuovo materiale da lavorare.

Cinque modi per collegare le fasi di un processo

Il modo migliore per collegare due fasi è il flusso sincronizzato, senza scorte intermedie tra una fase e l’altra.

 

All’estremo opposto, il modo peggiore per collegare le fasi è la soluzione push.

Nel mezzo, tra il flusso sincronizzato e il modello push, esiste una gamma di soluzioni intermedie, che si adattano a diverse conformazioni della domanda e diverse tipologie di produzione.

Il sistema sincronizzato con buffer prevede di sincronizzare due fasi ma di non collegarle direttamente, introducendo invece una zona cuscinetto, ovvero una scorta, tra due fasi.

 

Un sistema simile a quello appena citato è il sequenced pull o pull sequenziale. Prevede che il flusso informativo si muova da valle a monte, in senso inverso rispetto alla produzione.

 

Proseguendo in direzione di una quantità di scorte tendenzialmente più alta, ecco il sistema pull con ripristino, che utilizza strumenti quali il magazzino supermarket e il cartellino kanban.

Heijunka

Uno degli strumenti più usati per verificare che il livellamento della produzione venga mantenuto e rispettato è l’heijunka board, uno strumento informativo visuale in cui si indica la quantità di beni da produrre e l’intervallo di tempo necessario per farlo.

Per la corretta progettazione di un heijunka board è necessario:

  • assegnare a ciascun intervallo temporale della timeline un cartellino heijunka;
  • aggiornare lo strumento alla fine del periodo di riferimento ( generalmente un giorno );
  • rispettare la sequenza di produzione, ovvero il mix imposto dal livellamento e riportato nell’heijunka board.

Kanban

Il kanban ( kan = visuale, ban = cartellino ) è uno strumento per il controllo del flusso pull disaccoppiato, che prevede una gestione dei materiali direttamente dallo shopfloor – cioè dall’area dove avviene la produzione – e non necessita in teoria di alcun software per la gestione, anche se oggi quasi sempre si associa a un programma informatico per poter ottenere maggior controllo, flessibilità, riduzione delle attività nva e ulteriori vantaggi.

Affinché il kanban sia efficace, è necessario dimensionarlo – ovvero, in buona sostanza, determinare per ciascun codice il numero di contenitori che devono ruotare (svuotarsi, riempirsi, svuotarsi,…) nel sistema.

« # KB » è ovviamente un numero intero di contenitori, da cui la necessità di arrotondare per eccesso la prima parte della formula.

« LT » indica il lead time di riapprovvigionamento: quanti giorni sono necessari al fornitore interno o esterno per ripristinare il componente a supermarket.

« LTS » indica il lead time di sicurezza, ovvero quanti giorni di copertura aggiuntivi si desidera avere per tutelarsi da eventuali problemi di fornitura.

« Q » è la quantità di pezzi per ogni contenitore, da verificare dopo l’identificazione del contenitore ottimale. Nella

« C » è il consumo massimo durante il lead time, e indica il consumo espresso in pezzi / unità di tempo ( tipicamente giorni ) che il sistema dovrà sostenere.

 

Il kanban ha diversi vantaggi:

  • rende meno probabili le rotture di stock;
  • riduce notevolmente le scorte rispetto alla logica push;
  • permette risposte veloci ai cambiamenti di domanda;
  • migliora l’accuratezza della scorta;
  • semplifica la programmazione, riducendo l’uso dell’mrp, il sistema di pianificazione della produzione, programmazione e controllo dell’inventario.

Il Miglioramento continuo

Interiorizzato il quarto, si arriva al quinto principio, cioè il miglioramento continuo, che spesso viene inteso come sinonimo di lean thinking, mentre ne è solo una parte anche se molto importante.

Kaizen signica letteralmente “cambiare in meglio” e, nella trasformazione lean, lo applichiamo spesso insieme al kaikaku, cioè la creazione di un punto di rottura con il passato, in modo da progettare e realizzare un processo ex novo.

Il miglioramento continuo è proprio l’unione tra questi due concetti. Il processo di trasformazione si articola infatti con l’analisi della situazione precedente, la progettazione ed introduzione di cambiamenti no alla creazione dei relativi standard, che possono essere migliorati di giorno in giorno attraverso il kaizen.

Per riuscire a rendere efficace questo processo di miglioramento, l’equazione del cambiamento ci dice che servono: visione, competenze, incentivi, risorse e un piano d’azione.

Togliendo anche solo uno di questi elementi, il cambiamento non può funzionare, o richiederà comunque moltissimo sforzo.

Kaizen è la combinazione di due parole giapponesi: kai ( cambiamento ) e zen ( bene ). Indica il miglioramento continuo e incrementale dei processi standardizzati e si basa su una strategia dei piccoli passi: giorno dopo giorno, in piccoli « cantieri », si modifica lo standard, facendolo evolvere e migliorandolo.

 

Che fare dunque quando manca uno standard? Va applicato il kaikaku: da kai (cambiamento ) e kaku ( radicale ), è il miglioramento profondo e repentino dei processi, ottenuto grazie a un progetto di relativamente breve durata finalizzato a creare un punto di discontinuità con il passato.

 

In un sistema lean il miglioramento continuo consiste proprio nella combinazione tra queste due pratiche.

 

Si analizza la situazione esistente, si progettano e introducono dei cambiamenti anche radicali ( kaikaku ), li si rende standard condivisi che sono poi ulteriormente migliorati giorno dopo giorno attraverso il kaizen.

 

Sia kaizen che kaikaku si basano sulla logica spdca.

 

Misurare il cambiamento

È necessario misurare gli effetti del cambiamento.

 

Per misurare gli effetti del cambiamento dobbiamo definire uno o più Key Performance Indicator ( kpi ), parametri misurabili che esprimono la performance di un processo e si prestano a valutare il gap tra lo stato corrente e un obiettivo.

L’equazione del cambiamento

Esistono diversi framework che aiutano a visualizzare le variabili che entrano in gioco quando un’organizzazione affronta un cambiamento;

tra queste risulta particolarmente efficace il modello Managing complex change, sviluppato da Mary Lippitt: uno schema che aiuta a visualizzare il cambiamento come una sorta di equazione sistemica.

 

Un percorso di cambiamento, per avere successo, richiede che siano presenti cinque elementi di base:

  1. visione,
  2. competenze,
  3. incentivi,
  4. risorse e
  5. piano d’azione.

KPI

Come creare un kpi in ottica spdca:

  • analisi del processo in esame e ricerca dei possibili kpi più adatti ( scan );
  • scelta del kpi e definizione del target per il processo ( plan );
  • applicazione del kpi al processo ( do );
  • monitoraggio del comportamento del kpi ( check );
  • standardizzazione del kpi ed eventuale estensione ad altri processi ( act ).

 

In una strategia lean, i kpi si suddividono in tre livelli:

  1. al livello apicale ci sono i kpi strategici, utilizzati dall’imprenditore e dagli azionisti: rientrano in questo livello indicatori come l’ebitda e il tasso di crescita delle vendite, ma anche alcuni non economico – finanziari – customer satisfaction, livello di sicurezza medio, tasso di infortuni globale … – e altri tipicamente applicati alla singola value stream, ma generalizzati a tutta l’azienda – per esempio il lead time generale e l’indice di rotazione del magazzino;
  1. i kpi strategici si traducono, al livello intermedio, nei kpi di value stream, a cui rispondono i manager e i responsabili del value stream, e che monitorano l’andamento di tutte le fasi che formano un processo come lead time, indice di flusso, indice di rotazione delle scorte;
  1. scendendo al livello del genba, troviamo i kpi di fase, utilizzati dagli operatori. Questi esprimono le performance di una singola fase, come il tasso di scarti e rilavorazioni, la produttività giornaliera, il numero di anomalie rilevate e il numero di fermi macchina.

 

E infine…… Coinvolgimento di tutti

Una volta compresi i primi cinque princìpi, si arriva al sesto, cruciale per il mantenimento dei miglioramenti che si possono raggiungere in un percorso di trasformazione lean, perché consiste nel coinvolgimento di tutti.

Il programma di trasformazione deve rappresentare un vero e proprio cambiamento culturale che deve investire tutta l’organizzazione, senza togliere responsabilità al vertice, ma distribuendone anche alle persone che solitamente ne hanno meno.

Il mancato coinvolgimento a tutti i livelli è una delle due cause più importanti per cui le lean transformation falliscono: l’altra è la confusione tra fare lean, applicare solamente le tecniche, senza comprendere ed interiorizzare i princìpi su cui si basano, con l’essere lean, cioè essere in grado di spiegare perché vanno applicati metodi e tecniche.

I principali motivi per cui le lean transformation falliscono sono due, e nessuno dipende da un eccesso di verticismo.

Il primo motivo è che si confonde il « fare lean » con l ’ « essere lean »: ci si ferma cioè al livello delle tecniche, che vengono applicate ma senza comprendere davvero perché.

 

La seconda, e più decisiva, causa di fallimento è dovuta al fatto che il management non guida la trasformazione.

 

Oppositori, resistenti e innovatori

Tipicamente in un ambiente di lavoro – ma anche in altri contesti sociali – si possono suddividere le persone in tre macro categorie, sulla base del loro atteggiamento verso le novità: oppositori, resistenti e innovatori.

 

Rogers distingue cinque tipologie di persone:

  1. innovators ( innovatori ),
  2. early adopters ( primi utilizzatori ),
  3. early majority ( prima maggioranza ),
  4. late majority ( tarda maggioranza ) e
  5. laggards ( ritardatari ).

 

Quando l’adozione di una tecnologia raggiunge la soglia critica della metà della popolazione di riferimento, allora anche per i ritardatari cresce la predisposizione al suo utilizzo.

Visual management

Ecco le principali caratteristiche di una gestione visual corretta:

  • una comunicazione chiara e immediata;
  • informazioni e dati aggiornati con calcoli delle metriche comprensibili e ben esposti;
  • la presenza delle sole informazioni necessarie;
  • contribuire alla creazione di un ambiente in cui tutti possono capire e migliorare i processi; chiarezza rispetto all’esistenza di un owner e di un obiettivo per ogni metrica;
  • facile individuazione di quale attività influenza la metrica.

Ci si può avvalere di diversi tool.

Ecco alcuni dei più diffusi:

  • zoning, ovvero la segnaletica orizzontale a terra per definire diverse aree nel genba;
  • andon board, per il monitoraggio della produttività della linea, con l’inserimento delle cause di interruzione del flusso di valore e della quantificazione delle interruzioni per assegnazione di priorità d’intervento;
  • heijunka board e kanban board, per la schedulazione della produzione e per la gestione per il riordino dei kanban;
  • gestione visuale del livello di riordino;
  • scrum, strumento di condivisione delle attività e del loro stato di avanzamento;
  • 5s charts per monitorare l’andamento di un processo;
  • diagramma di Gantt per ordinare in un calendario a scansione settimanale le operazioni previste.

Tra i benefici che il visual management può apportare:

  • semplificare la condivisione degli standard e la loro sostenibilità;
  • semplificare la gestione dei processi;
  • intervenire prontamente al manifestarsi di un’anomalia;
  • incrementare la condivisione;
  • ridurre il tempo speso per dare priorità;
  • accelerare il processo di eliminazione degli sprechi e di ricerca della causa radice;
  • favorire il miglioramento continuo.

 

Il Sistema strategico

L’ultimo principio è quello del sistema strategico, necessario per non fermarsi al solo miglioramento puntuale, ma per arrivare ad uno più totale, in cui sono coinvolti anche quello lineare, quello allineato e quello sistemico, per poter aumentare il valore portato al cliente.

L’evoluzione del miglioramento

Il primo stadio è il miglioramento puntuale. Gli americani amano chiamarlo popcorn kaizen: consiste in una serie di focolai di miglioramento distribuiti nell’organizzazione, non collegati tra loro da una strategia precisa.

 

Una fase evolutiva più avanzata è rappresentata dal miglioramento lineare.

 

Questo problema si supera quando raggiungiamo il terzo stadio, quello del miglioramento allineato. In pochi lo praticano davvero: a questo livello tutte le linee del punto precedente sono orientate verso la stessa direzione.

Il miglioramento sistemico è il quarto e più alto livello.

 

Nelle aziende che sono arrivate a questo stadio, il ruolo del management è più legato alla gestione del miglioramento, alla formazione e allo sviluppo delle persone che alla guida dell’operatività.

La bussola dell’hoshin kanri

L’hoshin kanri, un termine che possiamo tradurre come politiche di gestione o policy management, è, più che una tecnica, un vero e proprio approccio metodologico alla pianificazione e gestione strategica.

 

Concettualmente, l’hoshin kanri ha una struttura a cascata che prende strategie, tattiche, kpi e risultati attesi e ne verifica l’allineamento tra di loro, all’interno della singola categoria, e tra categorie, definendo poi l’accountability per ciascun progetto.

 

L’hoshin kanri può essere implementato attivando fino a quattro tipologie di team, organizzate secondo la già citata struttura a cascata.

 

L’hoshin team ha la responsabilità di definire strategie in un orizzonte temporale medio – lungo.

Gli esperimenti di sua competenza sono tre:

  1. strategia di lungo termine ( un piano generale con un orizzonte temporale di 3 – 5 anni ),
  2. strategia di medio termine ( un piano maggiormente dettagliato su progetti, risultati, kpi e target che caratterizzano operativamente le strategie ) e
  3. hoshin annuale ( piano dettagliato che delinea l’azione dei successivi 6 – 18 mesi ).

 

I tactical teams, nominati dal team hoshin, hanno una responsabilità tattica e operano in un orizzonte temporale medio.

Gli esperimenti di loro competenza riguardano lo sviluppo di tattiche: iniziative concrete a 6 – 18 mesi definite dall’hoshin annuale.

 

Gli operational teams, sottoposti ai team tattici, hanno una responsabilità operativa e lavorano con un orizzonte temporale medio – breve.

Di loro competenza sono progetti operativi a 6 – 18 mesi per implementare le tattiche.

 

Gli action teams, che operano sotto la direzione dei team operativi, hanno un orizzonte temporale breve: mettono in atto i kaikaku ( progetti operativi a 1 – 3 mesi per applicare nuovi metodi e strumenti al fine di creare nuovi standard ) e i kaizen ( i cantieri di miglioramento legati a variazioni da standard precedentemente definiti ).

A3-X

La matrice a3 – x è lo strumento principale per l’allineamento strategico: serve a garantire la coerenza tra le strategie dell’organizzazione, i progetti ( o le tattiche ) della stessa, gli indicatori utilizzati per misurarli e i risultati complessivi attesi, mantenendo attive, coinvolte e allineate tutte le persone chiave in azienda ed evitando che alcune parti dell’organizzazione portino avanti progetti di cui altre parti non sono a conoscenza.

 

Il foglio è diviso in 4 sezioni principali con al centro la vision o il why aziendale, che costituisce il true north di qualsiasi lean transformation, ovvero la direzione principale verso cui si muove l’organizzazione, il suo sogno.

Le 4 sezioni principali, che si diramano dai quattro lati del why, sono costituite da strategie, risultati, kpi di processo, tattiche/progetti. Le sezioni secondarie, che si trovano fra le coppie di sezioni principali, ospitano i fattori di correlazione fra esse.

Una quinta sezione contiene informazioni sull’accountability dei vari progetti.

A3-T

L’a3 – t è lo strumento utilizzato per tradurre l’hoshin kanri – la pianificazione strategica – in una serie di tattiche finalizzate al raggiungimento degli obiettivi.

 

Presentiamo di seguito i campi che compongono la matrice a3 – t.

  • Il problem statement descrive il problema o il gap dall’obiettivo e la ragione per cui il miglioramento è richiesto. Deve includere anche un orizzonte temporale ben definito e una o più misure che quantifichino chiaramente l’entità del gap o del problema.
  • Target statement: in questo campo deve essere inserita una frase o un breve paragrafo che incorpori i principali obiettivi del team. Per esempio si può riportare il target di redditività del flusso del valore.
  • Analysis: descrive sinteticamente l’analisi della causa radice che sostiene le azioni proposte.
  • Proposed action: comprende le tattiche suggerite per il raggiungimento degli obiettivi inseriti nel target statement.
  • Implementation plan: indicazione delle azioni da fare, dei loro responsabili e delle scadenze per il completamento delle stesse.

Un percorso in cui sono presentati tutti i principali strumenti del lean management.

Che dire, un libro assolutamente da leggere e rileggere…..

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