La crescita che non c’è
La produzione industriale cala del 7%; il Pil cala del 2,6%; il potere di acquisto delle famiglie è in calo dell’11,8% dal 2008; questi sono i dati che ha fornito l’Istat, notoriamente vicino al governo, pochi giorni fa;
il 20 aprile commentavo i dati sulla crescita forniti dal governo -1,2 nel 2012 e +0,5 nel 2013, visibilmente fasulli.
Adesso anche Monti ammette che le manovre fatte dal governo sono state recessive ( lo sapeva benissimo anche prima).
Nel frattempo sentiamo con cadenza giornaliera dai rappresentanti del governo il mantra della crescita.
L’ultima è l’idea del ministro Passera della defiscalizzazione degli investimenti strutturali. L’articolo di Carlo Stagnaro spiega perchè la crescita non c’è e purtroppo, se andiamo avanti cosi’ non ci sarà neanche in futuro.
Ci sono due modelli di crescita;
il primo è quello adottato dallo stato italiano da 20 anni a questa parte, che numeri alla mano non funziona;
tassazione alta a imprese e cittadini e ridistribuzione degli investimenti con criteri politici; lo stato decide dove è piu’ virtuoso investire per fare crescere i soggetti piu’ meritevoli.
Ad esempio si danno fior di contributi e crediti di imposte alle imprese che investono nel mezzogiorno, che come sappiamo, in questo modo non è mai decollato;
oppure si sostentano aziende come la Fiat i cui risultati di crescita ( in Italia) sono sotto gli occhi di tutti).
Il secondo modo è lasciare che l’investimento lo faccia l’impresa; per fare questo è richiesta una tassazione bassa ( anche gli svedesi, che hanno uno stato sociale che noi ci sogniamo hanno deciso di ridurre la tassazione alle imprese 26%).
La descrizione di questo meccanismo lo facevo qui –L’importanza degli investimenti–
Per crescere ci vogliono investimenti, il problema è chi è piu’ bravo a farli;
l’impresa che è sul mercato e se sbaglia paga di tasca sua o lo stato dove se l’investimento è fallimentare nessuno paga di tasca propria?
Se volete qualche esempio in proposito basta leggere i libri di Stella e Rizzo.
Vediamo cosa succede se diminuisce la tassazione alle imprese;
abbiamo 3 aziende con lo stesso capitale investito di partenza e lo stesso livello di redditività che si mantiene costante nel tempo; l’indebitamento è pari a 1;
la prima impresa è tassata al 60% ( in realtà oggi siamo oltre il 65%), la seconda è tassata al 40% e la terza è tassata al 30%.
già al terzo anno la capacità di investimento della azienda meno tassata è il doppio di quella piu’ tassata.
Dopo 5 anni l’azienda 1 ha aumentato il capitale del 17%, l’azienda 2 del 26,2% l’azienda 3 del 31,1%.
Le imposte pagate sono piu’ basse, ma l’azienda 3 avrà generato piu’ fatturato, e quindi piu’ iva, avrà generato indotto e presumibilmente avrà assunto piu’ persone.
Se consideriamo il saldo delle imposte pagate, il risultato finale è questo:
se vuoi qui puoi scaricare gratuitamente il report sull’analisi i bilancio, per fare le tue analisi
Come si puo’ vedere l’impresa meno tassata paga 2.518.823 di tasse, contro 2.697.328, cioè 178.504 euro in meno.
Se dovessimo considerare il fatturato indotto dalle tre imprese e le tasse pagate dai lavoratori in piu’ ( e i soldi risparmiati in cassa integrazione e sussidi) i 178.504 sarebbero facilmente annullati.
Per capire meglio gli effetti perversi dell’aumento di tasse, ascoltatevi il podcast della trasmissione di Oscar Giannino sulla tassa sul lusso.
A Fronte di un reddito atteso di 155 milioni di euro l’incassato è stato di circa 23 milioni e questa grande pensata ha abbassato il fatturato del settore del 40% ( con conseguente calo di occupazione).
A dimostrazione che le tasse sono distorsive, i “ricchi” non rimangono a farsi tassare e chi ci rimette è chi campa nel settore….
Sempre piu’ clienti mi dicono che se ne vanno in Slovenia, in Austria o in Croazia; cerco di dissuaderli, perchè bisogna rimanere qui a cambiare le cose, ma ho paura di essere sempre meno convincente…..
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A questo punto ti auguro buon lavoro e ti aspetto nei prossimi articoli
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