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La Guerra nel Team

La guerra nel team; 5 disfunzioni che si devono affrontare

La Guerra nel Team

“Non la finanza. Non la strategia. Né la tecnologia. È il lavoro di squadra il vantaggio competitivo fondamentale, sia perché è così potente, sia perché è così raro”.

 

Questo l’incipit inappellabile del libro di Patrick Lencioni [1] intitolato “La guerra nel Team: racconto sulle 5 disfunzione del lavoro di squadra”.

 

L’energia del Team

Così desiderabile e allo stesso tempo così irraggiungibile.

Perché é così raro vedere pienamente espressa la forza propulsiva del gruppo, una energia tanto dirompente quanto necessaria a tutte le organizzazioni?

 

Il libro tenta di rispondere a questa domanda attraverso una scelta stilistica ben precisa:

il racconto di una storia.

La storia di una organizzazione realistica, ma fittizia, in cui i lettori possano immedesimarsi e trarre più efficacemente spunti di riflessione e di azioni per il proprio lavoro.

 

Il racconto di una storia implica sempre un “confronto dialogico”, rimanda ad un ricordo (quindi un feedback, un vissuto esperienziale) e di conseguenza comporta una certa componente emotiva (sia essa positiva o negativa), che caratterizza la storia stessa.

La narrazione porta ad una riflessione che è riflessione dei contenuti, elaborazione di questi e soprattutto sviluppo dell’apprendimento.

Le storie persuadono:

divengono sempre, o quasi, mezzo di condivisione;

permettono di dare interpretazione della realtà anche in forma autobiografica.

Le 5 disfunzioni del team

Attraverso la storia il libro svela con efficacia cinque disfunzioni che posso incidere sulla bontà del lavoro di squadra.

Ecco il secondo elemento vincente del libro:

la focalizzazione su di un numero limitato di concetti, che raccontati in maniera accessibile e immersi nella concretezza degli accadimenti, possono facilmente essere assunti dal lettore come guida per il proprio lavoro.

Quante volte leggiamo i libri che hanno un approccio puramente teorico, che pur mantenendo inalterato il fascino delle argomentazioni rendono complessa la traduzione dei contenuti in azioni di miglioramento concrete, riservando tale privilegio solo agli addetti ai lavori.

 

Con “La guerra nei team” Lencioni offre questa opportunità a tutti coloro che sono interessati a migliorare il loro lavoro quotidiano all’interno dei gruppi, sia come leader che come membri.

La tesi del libro è semplice e complessa allo stesso tempo:

I team, poiché sono composti da esseri umani imperfetti, sono intrinsecamente disfunzionali.

Questo non significa che il lavoro di squadra sia una chimera.

Il successo arriva solo per quei gruppi che superano le tendenze comportamentali fin troppo umane che li guastano e che generano al loro interno politiche disfunzionali.

Alla fine del libro (è presente una sezione dedicata) basterà riassumerne in un foglio le 5 disfunzioni e 5 esempi significativi per avere una guida snella e sempre a portata di mano per sperimentare e consolidare buone prassi nella gestione delle dinamiche dei gruppi di lavoro.

 

La storia

Una promettente start up della silicon Valley dopo un primo anno di entusiasmo e successi si confronta sempre più spesso con cocenti delusioni, tanto da spingere il CdA alla scelta drastica di destituire il giovane amministratore delegato.

L’azienda si è guadagnata la reputazione di essere uno dei posti più politicizzati e spiacevoli in cui lavorare.

Così nella perplessità generale il Presidente decide di assumere Kathryn una sua vecchia conoscenza (ora in pensione) che aveva avuto una brillante carriera nonostante mancasse di titoli e referenze altisonanti.

 

Nelle prime settimane le perplessità su di lei aumentano:

non faceva nulla, si limitava ad osservare.

Camminava per i corridoi, chiacchierava con i membri dello staff, assisteva in silenzio a tutti i meeting prendendo appunti.

Eccolo il team più quotato – e sgangherato – della Silicon Valley.

 

Jeff – ex amministratore delegato, business development:

fondamentalmente un generalista.

Riconosciuto per la sua maestria quando si trattava di venture capital o di selezione del personale.

Ma il management era un’altra storia.

 

Mikey – marketing:

nota in tutta la Valley come un genio del brand building.

Mancava stranamente di alcune attitudini sociali di base.

Spesso troppo loquace e sempre pronta  a lamentarsi di come le altre aziende in cui aveva lavorato facessero tutto meglio.

Non gradiva osservazioni su quanto di sua competenza.

Malgrado il suo talento e le sue doti era la meno popolare dello staff.

 

Martin – resp. Progettazione e sviluppo:

tra i fondatori dell’azienda.

Aveva progettato le specifiche originali del prodotto di punta dell’azienda.

Con un curriculum di successo era percepito come il vantaggio competitivo principale dell’azienda.

Martin era discreto, a volte troppo.

Specie quando durante la riunione si distraeva al computer lasciando immaginare urgenze non procrastinabili se non un chiaro disinteresse, cosa che poco alla volta iniziava a logorare lo staff.

 

JR – vendite:

venditore di esperienza.

Spesso abbronzato. Affabile.

Accettava sempre di fare ciò che proponeva il gruppo salvo poi non mantenere gli impegni.

Lo salvava il suo curriculum; nella sua carriera non aveva mai mancato un obiettivo trimestrale di vendita.

 

Carlos – Customer support:

di poche parole.

Quando interveniva era per dire qualcosa di importante e costruttivo. Era affidabile.

 

Jan – Resp. Finanziario:

maniaca del dettaglio, orgogliosa della sua conoscenza di settore trattava il denaro aziendale come se fosse il suo.

Una garanzia di controllo.

 

Nick – Responsabile di produzione:

sulla carta il più eccellente.

Assunto per guidare la crescita dell’azienda era però sottoutilizzato.

Per quanto fosse frustrato (sentiva di essere l’unico dirigente in azienda in grado di fare l’amministratore delegato) non si lamentava mai apertamente.

 

Solo a leggerne la breve biografia ci immaginiamo già i possibili colpevoli.

Ma come succede nei gialli i colpi di scena sono il cuore del racconto.

Qualcuno sopravviverà, qualcuno se ne andrà, qualcuno emergerà.

Katrin sarà costretta anche a scelte drastiche sempre guidata dal fine ultimo, il bene dell’organizzazione.

 

Le 5 disfunzioni

Nel gestire questo variegato staff di lavoro Kathrin affronterà, con coraggio determinazione, le disfunzioni che segnavano profondamente la vita del team.

Lo farà presentandole al suo team in un seminario residenziale organizzato per avviare anche simbolicamente il nuovo corso:

1 Assenza di fiducia:

nei grandi team non ci si nasconde l’un l’altro, non c’è paura di mostrare i propri panni sporchi.

Si ammettono i propri errori, le debolezze e le preoccupazioni senza paura di rappresaglie.

Il lavoro di squadra comincia costruendo la fiducia.

E l’unico modo per farlo è superare la nostra esigenza di invulnerabilità.

 

2 Paura del conflitto:

se non ci fidiamo gli uni degli altri non ci impegneremo in un conflitto ideologico aperto, costruttivo[2].

Il conflitto costruttivo è necessario per costruire vera armonia all’interno del gruppo

3 Mancanza di impegno:

non riuscire a fare proprie le decisioni.

Questo succede quando le persone non danno voce alle proprie opinioni e non hanno la sensazione di essere state ascoltate, allora non saranno realmente collaborative assumendo nel peggiore dei casi atteggiamenti ambigui.

 

4 Sottrarsi alla responsabilità:

una volta raggiunta la chiarezza e l’adesione dobbiamo ritenerci l’un l’altro responsabili per quello che ci siamo impegnati a fare, per alti standard di performance e di comportamento.

In questa reciprocità si innesta la difficoltà del rapporto tra pari, soprattutto quando si deve “responsabilmente” chiedere conto dei risultati.

Infine le persone non si riterranno rispettivamente responsabili se non si sono esplicitamente impegnate nello stesso progetto.

 

5 Disattenzione ai risultati:

la tendenza dei membri del team a cercare riconoscimenti individuali e attenzione a spese dei risultati collettivi, gli obiettivi dell’intero team.

Disfunzione che ha che fare con l’ego.

L’esempio legato allo sport raccontato nel libro è emblematico.

Ma quando ciascuno è focalizzato sui risultati e usa questi ultimi come parametro di successo è difficile che l’ego diventi ingovernabile.

 

Queste 5 disfunzioni sono logicamente concatenate e conseguenti.

A partire dalla mancanza di fiducia, possono inesorabilmente attivarsi fino a minare gravemente l’efficienza, se non la stessa esistenza, del team.

 

Team
Le disfunzioni nel team

 

Lencioni non dimentica di sottolineare come la gestione dei gruppi di lavoro non è scevra da complessità, impasse e fallimenti.

Spesso il cambiamento passa attraverso scelte radicali anche difficili ma sempre assunte in nome di un bene superiore che è quello collettivo.

Citiamo a tal proposito un passaggio inequivocabile del libro:

 

“probabilmente avrai sentito parlare mio marito (allenatore di basket n.d.r.) dire che un team spezzato è esattamente come un braccio o una gamba rotta; rimetterlo a posto è sempre doloroso, e a volte lo devi fratturare di nuovo per farlo guarire nel modo giusto. E la nuova rottura fa molto più male di quella iniziale, perché la devi fare di proposito”

 

In conclusione si tratta di un libro piacevole e ben congegnato.

Utilissimo per ricondurre i propri vissuti lavorativi in un alveo teorico facilmente comprensibile e divulgabile.

Lo consigliamo a tutti coloro che, volendo evitare la complessità di letteratura tecnica, desiderano cogliere importanti spunti operativi per comprendere i comportamenti psico-sociali propri e altrui e trarne eventuale spunto di riflessione e cambiamento.

 

Alessandro Piovesanel

 

[1] Patrick Lencioni (nato nel 1965) è uno scrittore americano di libri sulla gestione aziendale, in particolare in relazione alla gestione del team. È noto soprattutto come l’autore di La guerra nel team: racconto sulle 5 disfunzioni del lavoro di squadra, una popolare favola aziendale che esplora le dinamiche del team di lavoro e offre soluzioni per aiutare i team a ottenere prestazioni migliori.

 

[2] Vale la pena porre l’accento su una distinzione di significato a cui probabilmente il libro si riferisce pur usando la sola parola conflitto. Quando accenna al conflitto costruttivo sembra rimandare al concetto di contrasto. Quest’ultimo riguarda i contentuti, mentre i conflitto si sviluppa sul piano della relazione. (fonte: A. Gallo, R. Doanti – Voglio solo il mio yogurt: il viaggio nel cambiamento. ESTE libri

A questo punto ti auguro buon lavoro e ti aspetto nei prossimi articoli

 

 

 

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